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Speciale Fimmine: Il primo cavaliere vs. Scott Pilgrim vs. The World

In questo blog, c'è un forte affetto per il mondo femminile, che, ok, ci fa penare sempre come dei cristi, ma alla fine ci si vuole sempre bene. Tanto da farsi una pedalatona di chilometri nella nebbia pavese e nelle risaie per andare alla manifestazione "Se non ora, quando?". Molto bello, soprattutto se a Pavia la polizia permette solo di fare un corteo circoscritto a PiazzaVittoria. Bravi.
Ebbene, DF torna temporaneamente al formato classico per parlare di due film di completa sottomissione del masculo al genere femminile: Il Primo Cavaliere e Scott Pilgrim vs. The World. Oddio, sottomissione è una parola un po' fortina. Diciamo che in un film da una donna pendono le sorti di un regno, dall'altro la vita di un povero sfigatello.
Iniziamo col primo. Cavaliere.
La defenestrazione di Ginevra.


La storia si riassume così: Re Artù viene cornificato da Ginevra, che nicchia nicchia e poi si stralimona il Lancillotto (di Lancillotto).

Hard Lemon (Came-a-lot)
Andiamo direttamente al sodo. Il Primo Cavaliere è un film con un solo, maestoso pregio. È montato da Dio, ha un ritmo tale che quasi sembra un film bello. Ehi, ma guarda chi c'è nei titoli: Walter Murch, tipo la semidivinità del montaggio hollywoodiano contemporaneo. Walter Murch sarebbe in grado di rendere quasi sensato anche, che ne so, Svitati on the road.
Peccato che poi rifletti su ciò che hai appena visto, e, anche condonando l'eccesso di idealismo alle essenze di frutta e la melensitudine da ernia iatale di cui è intriso, capisci che hai visto una grandissima puttanata. Un film hollywoodiano come questo, quando è ponderato e scritto decentemente, si struttura attorno al percorso di un personaggio principale, elemento fondamentale sul quale si innestano varie trame e sottotrame, comunque funzionali alla storyline principale. Più raramente, succede che i personaggi centrali siano più d'uno, e le loro vicende si sviluppino parallelamente o si intreccino addirittura.
Ne Il Primo Cavaliere, il focus passa da un personaggio all'altro, senza alcun sviluppo o giustificazione, creando una successione compartimenti stagni legate da un'esile filo narrativo. Il film inizia su Lancillotto, continua su Ginevra, alla fine sembra essere sul tormentato Artù, per poi sterzare fortunosamente sulla coppia Lancillotto-Ginevra.
Non solo: la storia d'amore tra Ginevra e Artù è il solo fil rouge che porta avanti il film, ed è puramente pretestuosa: non ha basi concrete, Lancillotto è monoliticamente convinto da inizio a fine film che Ginevra si concederà; Ginevra - l'unico personaggio con un minimo di attrattiva e spessore - non ha un momento di reale esitazione, passa improvvisamente da un partito all'altro e ritorno, senza che ci si soffermi minimanente sulla sua (eventuale) indecisione, e questo distrugge la credibilità della storia d'amore. E, visto che questo film su questo si basa, significa che il film ha fondamentalmente fallito. Ma i suoi soldini  se li è portati a casa lo stesso.
Ma la reggina non è l'unico personaggio dipinto a cazzuolate le origini di Lancillotto paiono improvvisate solo per giustificare una scena . E, al contrario della brava-in-quanto-modulata Julia Ormond, qui il buon Richard Gere non fa altro che lo sborone con la spada, le tagliole e le nuotate. E ogni tanto chiagne. Chiagne e fotte. Bravo.
Infine, c'è Artù il soprammobile: qui Sean Connery interpreta l'incarnazione di un ideale (Camelot) talmente astratto e vago da essere inafferrabile. Questa incertezza etico-morale, a cui i valorosi cavalieri dovrebbero ispirarsi, fa l'occhiolino con una contemporaneità buona perchè democratica e tollerante, stabilendo un fil rouge sovrastorico un po' strano. Sei anni dopo, questo.

Sean CoRnery.

Insomma, questo film è stato scritto, riscritto, ritagliato e rincollato così tante volte da dare le vertigini anche a Bossi, quanto a coerenza.
Ora, non sfugge neanche a me l'ironia della situazione: hai parlato di Se non ora quando, il film merdoso della situazione è Il primo Cavaliere. Eccetera. Ma vedete, che voi c'avete solo quello in testa (That's what she said).
Passiamo ad altro.
 


Scott Pilgrim vs The World è un fi esattamente il contrario de Il primo cavaliere.
SP che sprizza genuinità e cuore grazie alla sua implacabile iperbolicità (ammappate che paroloni): la storia di un normale boy meets girl diventa uno pseudo-videogame lisergico avvinghiato con la punta delle unghie alla realtà. Lacerandola. Scopo ultimo del nostro eroe è conquistare una lei inafferrabile, ma soprattutto ri-conquistare se stesso.

Al terzo minuto, già si capisce che qualcosa non va...

Scott Pilgrim è un ragazzo come tanti altri, nerd quanto basta e bassista (hiyay!) di una garage band,  i Sex Bob-omb. Un bel giorno, conosce la ragazza dei suoi sogni (letteralmente), Ramona Flowers. E per stare con lei, deve affrontare i di lei Sette Malvagi Ex, uno più strambo e potente dell'altro. Ma per amore, si porge l'altra guancia (e se uno porge l'altra guancia, vuol dire che non si è colpito abbastanza forte - cit.)
Come ti capisco, Scottie...
Edgar Wright, il regista di questa perlona tratta da un fumettone Bryan Lee O'Malley (beccatevi che faccia da schiaffi che c'ha), è un fumatissimo regista inglese che ha firmato il rivoluzionario (anche se tutto sommato non ridancianamente spancevole - almeno per me) Shaun of the Dead e l'action movie coi ciccioni definitivo, ovvero Hot Fuzz. Recuperateveli, siuri.
Ebbene, una volta accettato l'arduo compito di adattare uno dei "manga" più  orgogliosamente nerd ever per il grande schermo, Wright ha distrutto la scatolina con scritto "Attenzione, distruttore di inibizioni cinematografiche" e ha lasciato che il film crescesse da solo, con invenzioni visive talmente inventive che forse sarebbe il caso di ridefinire la parola "pop". In tutte le lingue ed accezioni. Per farvi un esempio di quanto sia perfettamente inutile parlare di questo film a parole, eccovi i soli titoli di testa.


Una delle tante cose che rendono questo film propedeutico all'evoluzione della specie umana.
Qualcuno si è lamentato che questo Scott non avesse il fattore di "in-credibilità" dei film precedenti di Wright, semplicemente perchè al posto della montagna di simpatia nota al mondo come Nick Frost, c'è la Graziella del cinema contemporaneo, il nerd-per-tutte-le-stagioni Michael Cera. Il discorso era che, se la fisicità propromente del Nick giustificava l'improbabilità dei suoi stunt hollywoodiani post-moderni, non succedeva altrettanto con il povero Michael, la cui fisicità esile non era altrettanto ridicola. Ma perchè? Caro il mio collega recensore, perchè? è che sto lavoro incancrenisce il cuore, ecco che c'è. Ogni tanto vi fan bene un po' di Muppets, che rinfrescano l'anima.
Il valore aggiunto di questo capolavoro, e non esito a chiamarlo così perchè giocare a ping pong con l'apparato visivo del pubblico non son capaci mica tutti, sono i personaggi, in perfetto equilibrio tra tipo e personaggio a tutto tondo, con la fantastica Mary Elizabeth Winstead, che, oltre ad essere uno squinzione paciarotto, impersona una Ramona Flowers stronzissima, ma gradualmente paciosamente umana. Insomma, come piace a noi sfigatoni d'altri tempi.
Con questo è tutto, alla prossima volta, fratelli... di nuovo con un Prospettiva Miyazaki...


La morale di questa storia:
Cavaliere con più dame... bunga bunga all'ospedale.

Next Week (per davvero):
Prospettiva Miyazaki #7 - La principessa Mononoke


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