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This Is It vs. Diary of the Dead

Primo giro, prima accoppiata che funziona sempre: morte e distruzione.
Questa settimana affianchiamo in modo inappropriato il celeberrimerrimo This is it e Death of the Dead. Faremo la conta dei morti alla fine.

Partiamo con This Is It.
La storia la sapete tutti, e sapete tutti come finisce. Ahahahah... dai, fa sempre ridere.
In due parole, il film non è altro che un extra del DVD del tour omonimo, comprato in una realtà alternativa in cui Michael Jackson ha scelto di affidarsi a un medico competente – sopravvivendo. Ci piacerebbe, eh?
Purtroppo la realtà è ben altra: visto che le cose sono andate come sono andate, per recuperare qualcosa dagli investimenti ultramilionari dietro a quello che sembrerebbe effettivamente il concerto più esagerato mai concepito (e forse, proprio per questo, sabotato dalle Potenze Celesti), il divino Kenny Ortega – sì, proprio lui, quello della trilogia di High School Musical, nonchè produttore e regista dello spettacolo insieme al “King of Pop” (di qui in poi, MJ) – prende “armi e ritagli” (letteralmente) e tira su dal materiale già pronto una sommaria ricostruzione del dietro-le-quinte, infilandoci alcune delle sequenze preparate ad hoc per lo show e sfamando (una tantum) quella terribile fame chimica che ti viene quando un artista muore lasciando incompiuto qualcosa (e chi come me ha aspettato sette anni per l’ultimo disco di Johnny Cash ha più resistenza di Pannella).
Perchè a ogni assolo MJ minaccia di scoparsi il/la chitarrista di turno?



Prima della morte di MJ, non mi ero mai reso conto di quanta gente lo adorasse. Personalmente, credo di aver conosciuto UN solo devoto in vita mia - ma ora sembra che siano tantissimi, anche se dal conteggio vanno espunti quelli saliti sul carro (funebre) all’ultimo momento. Io personalmente ero rimasto ai Jackson 5. Eppure c’è stata gente, anche qui in Italia (e non l’avrei mai detto) che s’è spolpata il pancreas, e parecchio: il mondo occidentale ha scoperto all’improvviso di aver perso uno dei suoi plasmatori – o, almeno, io scoprivo che il mondo riconosceva MJ come uno dei suoi plasmatori. E… beh, non sono mai stato un enorme fan di MJ, quindi è comprensibile… ma la cosa mi ha stupefatto assaie. Non dubito del talento canoro-produttivo-danzerecco del Negretto di Diamante, ma che ci fossero al mondo così tante persone disposte a donargli un organo sulla base di canzoni certo ben fatte e straordinariamente orecchiabili… ma non così tanto da renderle oggetto di culto. Mica si parla di, che ne so, Ivan Cattaneo.
Quel mio stupore è tornato a galla mentre guardavo le sequenze d’apertura del film: prima, mentre ballerini e ballerine in procinto di essere provinati giuravano amore e devozione al dio Jackson davanti alla telecamere; poi, mentre MJ in tenuta Gheddafi annunciava al mondo i suoi concerti d'addio, circondato da sbarbati in lacrime. Voglio dire, ormai Amici e X-Factor ci hanno abituato ai melodrammi di ogni cantante o ballerino che elemosina sogni realizzati, ma qui i provinanti sembravano quasi dei miracolati da Padre Pio a cui è finalmente concessa l’ultima chance di toccarne le stimmate. Jeez, c’è sempre Madonna – certo, se sei disposto a spendere diecimila euro in lampade e altri diecimila in passaporti dell’Uganda e a farti adottare da una cinquantenne con gli ormoni irrimediabilmente sballati.
Da qui, parte lo spettacolo, con registrazioni delle prove a vari stadi di realizzazione, previsualizzazioni al computer, testimonianze degli addetti ai lavori, ma soprattutto le sequenze (teoricamente in 3D) girate apposta per lo show, tra cui spicca uno spassoso vilipendio a Casablanca, in cui MJ viene sparato dal fu Humphrey Bogart, sostanzialmente mettendogli prescia nel raggiungerlo nell'Aldilà del Merchandising. Ovviamente, ogni commento su Thriller e sui suoi molteplici collegamenti con la vicenda jacksoniana e il prossimo film recensito vi verranno risparmiati, ma voi ridete come se avessi fatto una battutona.
Prima della fine del film, ci saremo affezionati ai simpatici gigioni che popolano questa pellicola: in primis Kenny Ortega, che prima era per me una specie di sinonimo vivente di Satana, ma poi mi si è rivelato come professionista competente e (fin troppo) premuroso; ma soprattutto il vocal coach e arrangiatore, di cui ora mi sfugge il nome, probabilmente l'unico uomo sulla Terra a cui fosse concesso di prendere per il culo Jackson senza che gli venissero rapiti i figli (per farne poi quello che intuite). Protagonista del film non è però MJ ma il suo L-O-V-E, ripetuto allo sfinimento, quell'ammore bello e quel desiderio di salvezza del mondo che ti fanno ripetere solo luoghi comuni sul mondo, ma ok... almeno il cuore è al giusto posto, come da proverbio.
La cosa davvero odiosa è che ci fanno soltanto annusare il colossale finale dello show, nel quale Michele Figliodigiacomo sarebbe dovuto decollare verticalmente, una roba così straordinaria che Kenny Ortega e MJ ne parlano sgranando gli apparati ottici come se avessero appena inventato una cura all’Aids. E poi manco una sbirciatina. Kenny... sei un grandissimo stronzo. E mi sa che sei pure un po’ buliccio.
MJ gioca agli Affari Suoi.
La cosa che fa più sorridere del finale è il pensiero che MJ, imperniata la morale dello show sull’apocalisse ecologics imminente (cioè, nell’ordine dei minuti, standolo a sentire), avesse imbastito questa megatterica macchina spettacolare senza (a quanto si sappia, almeno) la minima compensazione ambientale - che ne so quattro miliardi di alberi piantati nel Sahara, sboronate simili. Pensate alle immani quantità di energia usate per le prove, i trasporti delle attrezzature, i materiali di scenografie e costumi, senza contare l’imminente trasferimento di tutto il cucuzzaro a Londra, dove era prevista una cinquantina di repliche. Una roba di un impatto ambientale probabilmente pari all’esplosione di una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico. Ups, è successo…
L’ultima cosa che emerge da questo film è che MJ, nel bene e nel male, mancava di ogni senso del limite. Ogni singola sillaba di ogni singola strofa di ogni singola canzone è associata a un passo o un movimento. Senza. Alcun. Senso. Penso che avesse una coreografia anche per tirarsi giù la zip dei pantaloni in bagno. Urge una ridefinizione di “superfluo”. E forse anche di “coreografia”.
Ma alla fine l’importante è questo, che MJ balli e canti come se non ci fosse un domani. E, ahilui, il domani non c’è stato. 
Nonostante in fin dei conti sia stato molto più che dignitoso – previa digestione delle premesse* – , il film riesce a inabissarsi clamorosamente dopo i titoli di coda, con l’immagine più stomachevolmente ruffiana di ogni tempo. Questa:
Intanto, altrove, qualcuno muore di diabete.
Esistono cartoline di Riccione più sobrie.

* Le premesse:
1. Come detto, questo film nasce con il solo intento di mostrare come sarebbe stato This Is It.
2. Data la premessa 1 e considerato il fatto che di documentario si tratterebbe, questo film può legittimamente fare a meno di una storia.
3. Date le premesse 1 e 2, la vicenda umana di MJ è lasciata quasi del tutto implicita.
4. Date le premesse 1, 2 e 3, alcune sequenze di questo film non avrebbero senso se non come specchietto delle allodole. Ma possiamo sovravvolare.

Proseguiamo con un altro bel film che ci parla di morte e di morte della morte. Sìoreesiori, Diary of the Dead… (trombette).
New Ways To Die (Again)

Allora, innanzi tutto un breve ripasso su George Romero, regista del suddetto. Romero è uno alto due metri, con degli occhiali spessissimi che gli invidio un casino e la faccia da nonno buono. Eppure ha inventato il film di zombie per come lo conosciamo oggi. Era il 1968, e La Notte dei Morti Viventi (quello originale) dimostrava che era possibile inventare dei generi nonostante le tasche bucate. Romero è uno che ai morti viventi tiene parecchio: voglio dire, se su quindici film diretti, cinque sono dedicati a gente che muore, resuscita e ammazza altra gente camminando con quell'andatura un po così – un po' spastica, diciamo -, beh, vuol dire che ci è palesemente affezionato. D'altronde, è un argomento di attualità scottante, come dimostra questo personaggio qui.
"Buonasera dottore..."
Con Diary of the Dead – in italiano (awfully) Le cronache dei morti viventi -, Romero re-inventa la propria formula, shakerandola con l'intuizione che ha fatto il successo di Blair Witch Project o Rec, ovvero la telecamerina a mano che uno si porta appresso e fa tutte le riprese che minghia-mi-caco-in-mano-ma-non-smetto-neanche-se-mi-sdrumano
Infatti, Diary segue le vicissitudini di otto studenti di cinema che, venuti a sapere dello scoppio dell'epidemia zombesca, abbandonano in tutta fretta il progettino filmico che stavano realizzando – manco a farlo apposta, un film sugli zombie – per darsela a gambe e tornare a casa. Ebbene, il regista del progettino decide che la cosa è assolutamente da documentare in tutto e per tutto, perché in fin dei conti “è storia”, “potrebbe salvare delle vite umane” e cazzate varie (ed eccolo, armato di portatile, il giovane cineasta che continua ossessivamente a caricare il girato su Internet appena gli capita a tiro una presa elettrica). La cosa è digerita a fatica dai compagni di viaggio, che però alla fine un po' si fanno cazzi loro.
"....eeeeTAGLIA!"

Ed è proprio qui che il Giorgione, che è uno che ne sa anche troppe, usa l'elemento telecamerina per portare ancora più il là il discorso sociologico sugli zombie: la cultura e la società occidentali sono talmente pervase dalle immagini che ne siamo diventati sudditi. La televisione filtra la nostra percezione del vero, ma soprattutto amplifica il nostro istinto primordiale e inspiegabile di testimoniare a ogni possibile nefandezza  - a partire dall'incidente in autostrada fino a Cogne, -, dall'altra a volerci rendere immortali attraverso il potere dell'immagine stessa (sì, proprio il Complesso dela Mummia di Bazin. E tutti giù a ridere). Il "produttore" di immagini, chi tiene in mano la telecamera, diventa quindi esattamente come uno zombie, un perpetuatore di un circolo vizioso. E nel film non si sta neanche a sottolizzare più di tanto sulla questione, e qui vi rimando ai dialoghi (non eccellenti) che pungono la faccenda nel vivo e forniscono qualche spunto di riflessione.
Certo, a noi intellettuali comunisti il fatto che certi temi che facciamo noi nei nostri salotti comunisti vengano spiattellati al popolino così già mezze digerite ci fa girare i cabasisi... no, dai scherzo, per essere un film d'intratteniment tutto questo sottotesto è davvero grasso che stracola. Applausi al Romero, che ci infila sempre cosette mica da ridere nei suoi film, che magari il tredicenne brufoloso che li vede per adrenalinizzarsi con due schizzetti di sangue esce con mezzo neurone che gira. Poi quando vedi le cervella spiattellate alla julienne, è sempre il momento di urlare, come fa mia mamma quando le cade qualcosa, “Mannaggia alla morte puttana!”.
Ok, ora possiamo chiudere.

Morale: Chi muore si rivede.

Next week
Da Zero a Dieci vs. Anti-Christ
(ovvero C'è grossa Crisi)

Editorial

"blablabla".
Questa era la prima versione dell'Editoriale, e sostanzialmente condensa tutto quello che questo ennesimo blog di recensioni si ripromette di essere: parole a caso per razionalizzare sul nulla. Oltre che un'elegante scusa per dare del deficiente alla gente.
Devo dirlo subito. Questo  blog novo novello ha dei modelli. Innanzi tutto, i 400 Calci e la defunta Morelli Movie Guide, siti di recensioni cinematografiche tutte matte ma insperabilmente succose che penso abbiano dato parecchie lezioni di cinema (e arte in genere) a parecchi lettori sbarbatelli. Altre fonti d'ispirazione importanti sono Ain't It Cool News, recensioni un po' più istituzionali ma sempre un po' con i piedi sul tavolo e la coca-cola in mano, e Orrore a 33 Giri, massacri musicali d'ogni tipo e trashaggine con l'occhio filologico e chirurgico di chi sa leggere i rifiuti per capire tutto della vita di una persona.
Fatto salvo lo sfruttamento della formula di recenziuni dissacranti e gigionesche, rispetto ai modelli il sottoscritto si riserva qualche intuizioncina: "parlare di" (quindi una roba un po' più ampia del recensire) non uno, ma ben DUE - dico, DUE - film/dischi/libri/quelchecapita, con cadenza (auspicabilmente) settimanale. Soprattutto i film sono scelti puramente a caso, ovvero relativamente al mio personalissimo ordine di visione. Che, con una bella contraddizione, è semi-casuale, o meglio come gira l'ormone. Se possibile, sarà analizzata la parentela dietro a questa giustapposizione, altrimenti ciccia. Ovviamente, nel caso voleste consigliare quelque chose, gli spazi appositi ci sono (commenti, mail, sa-'r-cazzo).
Altra bella caratteristica che ci piace a noi di questo blog è il fatto che a noi in quello che leggiamo/vediamo/ascoltiamo ci gushta sempre trovare la morale. Perchè la morale c'è sempre, no? E allora noi la spieghiamo per filo e per segno, così sono tutti contenti. Non come gli altri.
Per finire annoiandovi, l'obiettivo a cui miro è anche contribuire a rinfrescare l'ambiente "critica italiana". Troppa poca autoironia, troppa retorica, troppo poco rispetto nei confronti del lettore. Qui il lettore o non sarà maltrattato, o sarà maltrattato davvero, non subdolamente come, fa, un nome su tutti, Natalia Aspesi. O Curzio Maltese, che nessuno ha ancora capito perchè scriva recensioni cinematografiche. E cito due di Repubblica non perchè siano dei pericolosi marxisti (cit.) ma perchè è il primo quotidiano che ho a tiro.
Scherzi a parte, il problema è sfaccettato e qui lo voglio affrontare molto superficialmente (tié). Da un paio d'anni lavoro come collaboratore per un sito di musica italiana e già da prima ho scritto per Glamazonia, bellissimo sito dedicato ai fumetti, ergo mi sono fatto le ossa sul campo, con l'aiuto del background teorico che degli studi in Scienze della Comunicazione possono darti.
Nella mia esperienza, l'importanza della recensione ha certo la finalità pratica di consigliarti o meno di vedere un film, leggere un libro o un fumetto, ascoltare un disco, andare a una mostra, comprarti una macchina, per tutta una serie di ragioni che, per quanto giustificate e per quanto il recensore possa illudersi, raramente, molto raramente sono oggettive. Ci sono tante di quelle variabili nell'interpretazione e nell'opinione che ci facciamo delle cose che cercare obiettività in una recensione è come cercare di far dire qualcosa di intelligibile a Umberto Bossi. Si punta al massimo all'imparzialità (ergo, essere equilibrati e saper argomentare perchè) e si tenta formalmente di creare quantomeno un contesto equilibrato in cui si possa istituire una persuasione e un'interazione con l'eventuale lettore. Perchè a quello si punta, persuadere.
Ma soprattutto, una recensione ha il compito di fornire un input critico nel lettore o in altri critici. Mi spiego: la buona recensione non solo dice se il prodotto è buono o meno per determinate ragioni più o meno condivisibili, ma cala il prodotto stesso in un contesto, ricostruisce il reticolo tra l'opera, l'autore, il pubblico, la situazione storica e via dicendo. Solo fornendo queste premesse, un lettore ha l'input per elaborare in proprio il prodotto, per farlo recepire "criticamente". Il buon critico, insomma, suggerisce idee e responsabilizza il consumatore, non gli sbatte in bocca paltate di pappa pronta. E non c'è niente di più insultante delle opinioni "per sentito dire" - non quelle riportate, ma quelle che si fanno "proprie" a pappagallo.
Quello che spesso manca alla critica italiana è la coscienza di questa seconda funzione, e l'intelligenza necessaria per metterla in pratica. Noi siamo qui per dare lustro, sorriso e leggerezza intelligente a una cosa che ha un'importanza  totalmente ignorata, ma che contribuisce a un dibattito e a una circolazione di idee fondamentale per la crescita culturale di un popolo. Fra vent'anni nessuno cagherà più queste righe, ma se nel momento in cui nascono hanno avuto una funzione, è già qualcosa di cui esser fieri. Per il resto, come dice la Settimana Enigmistica e conferma Paolo Conte, la critica sta agli artisti come i cani stanno ai pali della luce - e, in parte, è giusto così.
Beh, ci sarebbe una terza funzione, ma è corollario della prima e qui non c'entra niente, per cui chiudo.
Sperando che questo blog mi faccia anche guadagnare un posto di lavoro oltre che la vostra stima, oltre che magari un pizzico in più di sale in zucca (più per me che per voi, eheheh) quando vi approcciate al selezionato prodotto culturale, vi saluto e vi auguro tante belle cose.
Paolo D'Alessandro