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Habemus Papam vs. Parto col Folle

Un applauso a voi per essere ancora qui, cari lettori/trici e agli 8 frequentatori di CapComuni che si sono misteriosamente trovati qui per ragioni a noi ignote.

Si torna al presente, ma soprattutto si torna definitivamente - o, almeno, per un lungo mentre - alla formula classica di questo blogghettino: affiancare due film assolutamente non-apparentabili in una recensione attendendo la reazione chimica.
Questa semana: Habemus Papam, l'ultima fatica del nostro leggendario Nanni Moretti nazionale, e Due Date (nei nostri lidi Parto col folle, adattamento triste ma quantomeno spiritoso), parentesi rosa tra due Hangover (aka Notte da Leoni) del regista americano Todd Philips - uno di quelli bravi con le commedie.

Di Habemus Papam non mi è facilissimo parlare. Ancor meno nei termini cazzoni a cui vi ho abituato.

Trama in due righe: il neo-papa, al momento della proclamazione, ha una crisi e scappa. Lo psicanalista chiamato a risolvere la situazione è costretto a rimanere a badare ai vegliardi del conclave, e in fin dei conti a ricevere anche lui una bella lezione d'umiltà.

Nuntio Vobis Gaudium Aaaargh!

Habemus Papam è un'apologia dell'umiltà. E non è la solita umiltà, quella dei vincitori, è quella dolorosa dei perdenti, quella lacerante dei responsabili (scritto minuscolo, pensando ai maiuscoli - ezzacchete) della presa d'atto che "no", a quel punto non ci si può arrivare e basta. Che possiamo sbagliare irreparabilmente, ma a volte abbiamo la possibilità di rifiutarci di sbagliare. E scegliere.
Sarà ozioso sottolinearlo, ma, un po' ricicciando sempre la frase di Frank Zappa che le canzoni d'amore creano false aspettative sulla vita ecc... beh sì, è vero anche per i film - soprattutto per i film. L'etica  del "niente è impossibile", dell'audicia nonostante tutto, delle fondamenta del Sogno Ammerigano nsomma - quella che ci viene anche abbastanza giustamente propinata da Walt Disney in su (sulla curva demografica) - va dosata in base a quello che siamo, non in base a quello che vogliamo. E la felice di grandezza questo film sta proprio nel saper vedere l'inevitabilità del momento di illuminazione, in cui ci si accorge del prossimo, di dove finiamo e dove iniziano gli altri. Del dover stare a bordo campo con il pallone in mano, perchè gli altri stanno facendo e sanno fare.

Qualcuno ha detto"matrimonio a pezzi"? "Kitsch"? "Cheap"?
Habemus Papam vede il ritorno di Nanni (del Nanni-Apicella, diciamo così) prepotente anche davanti alla macchina da presa. Ed è il teatro parecchi morettismi che rimarranno negli annali e che non vi spoilero anche se li saprete già.
Non è comunque un film quadratissimo: lo psicanalista interpretato da Moretti è un personaggio che calamita un po' troppo l'attenzione nel cuore del film, a discapito di un Michel Piccoli bravissimo (anche se in un paio di scene l'occhio vitreo faceva intuire un "checazzocifaccioqui?") ,ma che avrebbe comunque meritato (lui e il suo personaggio, intendiamo) un poco di screen-time in più (magari tagliando sul finale un po' equosolidale dell'altrimenti poetica sequenza sulle note di Todo Cambia di Mercedes Sosa). Poi c'è Margherita Buy, che va beh, potevamo anche lasciarla a casa a sto giro, a Nà. E poi, la domanda fondamentale: se il Papa è francese, e la sorella è francese, come fa a sapere a memoria Checov in italiano?

Ora, dopo essere riuscito a parlare di Habemus Papam senza dire neanche una volta la parola Chiesa - cosa che mi rende molto più figo di molti recensori pagati-, passiamo a Due Date, film successivamente noto come Parto col Folle, un film che minghia invece no.

Al centro del film l'architetto educato e very milanese Peter Highman (Robert Downey Jr senza pizzetto), che deve tornare a casa dalla moglie in tempo per il parto; nel viaggio, ha la sventura di incontrare il sudicio e imbarazzante Ethan Tremblay (Zach Galifianakis - cazzo cambia cognome - con la permanente), attore in erba ai limiti della macchietta.

Non volete sapere cosa sta combinando questo cagnolino.
 

Due Date parla sempre di epifanie inevitabili, sulla propria esistenza e su quella della propria nazione: sostanzialmente è il classico road movie con la strana coppia unita dalle circostanze, ma c'è qualche sfumatura sociologica interessante - per quanto, e ci mancherebbe altro, finalizzata alla situazione comica e di empatizzazione con i personaggi. Come amalgamare le due Americhe, quella alto-borghese e sofisticata, con quella campagnola e "bifolca" - certo, nessuno dei due è tipicamente stereotipato, ma tant'è? Col cuore, come ogni mediazione cinematografica si rispetti da Griffith ad oggi.

Mise en abime (se vedete il film, la capite meglio)

Phillips rulleggia ancora (e ci infila sempre , Downey non si sforza e nemmeno Galifiaffanculo, tanto che mi sembra che sia stato esplicitamente indicato a entrambi di fare il meno possibile. Nemmeno le faccette. E infatti il film, per quanto ben realizzato, non fa ridere (baaaasta battute sulla masturbazione, baaaaaasta dire vagina ogni due minuti!) - anzi, fa ridere il minimo, fa riflettere altrettanto fa emozionare ancor meno. Funziona certo, ma con attori di questo calibro e il regista dietro al film comico hollywoodiano meglio venuto degli ultimi, che ne so, alcuni anni, dai... Sì, certo è il classico esempio di prendi tre fenomeni e paghi uno: il problema è che la cosa pesa.


Morale:
Non importa quanto sei figo, non importa quanto sei sfigato:
arriva un punto nella vita in cui realizzi che sei un verme.
E Nanni Moretti non ti può aiutare.

Coming Soon:
?

Prospettiva Miyazaki Finale - La Principessa Mononoke, La Città Incantata, Il Castello Errante di Howl & Ponyo

Oh. Mio. Dio.
Perdono.
Perdono.
Perdono.
Amici bielorussi, non avrei mai voluto che passasse così tanto tempo dall'ultimo post. È stato un insieme di terribili circostanze e onorevoli disguidi... ma tanto queste scuse sudicie non vi interessano.
Andiamo al sodo.

Con questo post, chilometrico oltre ogni dire, si chiude il lunghissimo discorso Miyazakiano.
O meglio, si chiude per il momento. La produzione Ghibli e dei film scritti o in qualche modo eredi della tradizione Ghibli non si esaurisce qui, e ci saranno ovviamente molte possibilità di parlarne in futuro.

Non c'entra niente, ma sappiate che mentre scrivo su RaiMovie stanno passando Furyo, e ora c'è un primo pianissimo di David Bowie quand'era ancora un sanissimo e perfetto esempio di razza ariana. Ma non andiamo avanti, se no 'sto blog chiude o per buliccismo acuto o per nazismo sedizioso.

Per un rinfresco dei plot di ciascun film, vi rimandiamo al sempre simpaticissimo Internet.

La principessa Mononoke
Questo è probabilmente il film più oscuro (in più di un'accezione) della filmografia miyazakiana: è violento, sanguinario (di quel sanguinario con fiotti di sangue che seguono traiettorie da condono gravitazionale) e radicale. La guerra tra Uomo e Natura qui si combatte sul serio. E la gente muore. Anvedi se muore.
Al centro del film, stavolta, un uomo: la principessa del titolo, per quanto centrale nell'intreccio, ha un ruolo prtaicamente da comprimaria. E il ribaltamento della situazione Disneyiana (per quanto non cercato dal Nostro) è ulteriore, proprio perchè la nostra "Principessa" è in realtà un personaggio figlio della violenza e dell'arma. A conferma che non sempre dark è meglio, e nonostante il solito sforzo d'inventiva e la tanta sostanza che c'è dietro, Mononoke risulta un film meno coinvolgente rispetto ai precedenti (forse la poca chiarezza di alcune dinamiche del film, forse io che sono invecchiato), ma comunque capace di toccare le coscienze anche grazie all'atmosfera mitologico-rurale e alla vitalità (insostituibile) dell'animazione.
Insomma, tutto sto grittume si fa anche perdonare: regia e art direction esemplari come sempre, con l'ingresso del computer nel compositing che, diciamola tutta, si fa fin troppo vedere e danneggia le (poche) inquadrature in cui è utilizzato. Peccato, ma c'è sempre d'imparare.

La Città Incantata
Il paradiso delle fiabe e dei personaggi da fiaba, una riflessione sul doppio e sull'opposto (emblematiche le sequenze dello spirito del fiume e quella immediatamente successiva dello spirito dell'oro): la contraddizione umana si traduce qui nel mancato rispetto della natura (ancora, certo), della magia (i genitori che scrofeggiano e per contrappasso vengono scrofati), e dell'infanzia - la protagonista torna ad essere una ragazzina, decisamente meno coraggiosa e quasi oltraggiosamente presuntuosa, che cresce addossandosi responsabilità e concedendosi di sognare. Un film fatto di contrappesi e spostamenti d'asse, di treni che viaggiano a pelo d'acqua.


Il Castello Errante di Howl
Alle ragazze timidine piacciono i ragazzi misteriosi, e proprio non ci riescono a non innamorarsene. Howl è una storia di questo tipo, solo ambientata in un'enorme fortezza camminante. Finalmente una storia sull'Amore romantico oltre il tempo e lo spazio, senza melodrammi e con personaggi memorabili: una versione fantasy del Doctor Who (sì, sono fissato e monotematico)? Sì, ma anche di più: una lezione sull'umiltà, sulla ribellione e sul rifiuto della violenza, temi miyazakiani che collassano grazie a trovate dal sense of wonder quasi sconvolgente. E, per la prima volta forse, una Storia d'Amore con tutti i crismi.

Ponyo
Con Ponyo, si torna bambini. Un film con un tale cuore e tenerezza che fa paura, un film che parla dell'Amore, e del suo immenso potere, soltanto che lo fa parlando di una bimba pesce e del suo 'fidanzatino' umano di cinque anni. Il dualismo Uomo-Natura diventa il punto di partenza per un H&M più propositivo che mai. L'Amore totalizzante, quello che qui assume tanti di quegli aspetti che parlarvene mi sembra quasi di rovinare tutto. Fiori fragili al cinema. O nel vostro salotto, a sto punto. In due termini: riscalda il cuore ed è spettacolare. Se non vi tocca minimamente una cosa tanto sincera, andate a farvi un trapianto di esistenza.

Coming prima o poi:
Prospettiva Miyazaki: Una Prospettiva
Prospettiva Miyazaki: Encore

Coming soon:
Boh.