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Cemetery Junction vs. The Wrestler

... ovvero ematomi della crescita.
Giovini e meno giovini, questa settimana affrontiamo un po' la materia viva di tutte le storie del mondo: il cambiamento. Il momento che ci definisce umanamente per come lo affrontiamo, il momento di soglia che cambia tutto - prospettive, opinioni, orizzonti e, se va bene, anche salario.
Nella vita di un uomo, e con uomo intendo essere maschile benestante occidentale, i momenti di soglia sono fondamentalmente due: la fine dell'adolescenza e il pensionamento. In mezzo, gli strofinamenti del bunga bunga o, per i meno virili, quelli del carling.
Che sia stata la sorte o il capriccio o una divinità che vuole comunicarmi qualcosa, mi sono capitate in serie due pellicole che pescano proprio ai già elencati momenti pregni per trarre conclusioni per certi versi opposte sull'umana sorte. Procediamo.

Il film poi è un po' più serio. Giusto un poco.
Il primo dei film in playlist è Cemetery Junction e racconta al solito modo la solita storia dell'omino che ha dà maturà, uccidere il padre (metaforicamente però), andarsene di casa e diventare adulto.
A parte: credevo che non fosse ancora uscito in Italia - anzi, credevo che non avrebbe toccato mai sala. Invece è già passato e dimenticato, con il titolo pseudo-scientifico L'ordine naturale dei sogni. Ma morire, no?
Fin dal titolo, Cemetery Junction è più molto autobiografico (per quanto romanzato) della media dei film di maturazione, nel senso che è fondamentalmente la storia del suo autore, Ricky Gervais (uno divertentissimo che ha inventato robe tipo The Office e Extras, e una bordacchia di altri film, ma da noi è conosciuto per lo spassosissimo ruolo del curatore di Una notte al museo), scappato da un paesino della provincia inglese, come il Cemetery Junction del titolo, per cercare fortunaaltrove... Già che c'era, s'è fatto anche parecchio più bello, come vedete qui sotto (nella prima foto Christian Cooke, interprete del protagonista Freddie Taylor; nella seconda Ricky Gervais, interprete del padre di Freddie).

Farsi più fighi no, eh, Riccà?
Quindi sceneggiatura prevedibilissima e in piena formula (con varianti demenziali) ma ben eseguita e portata sullo schermo da attori giovani e meno giovani di grande bravura. E Gervais è garanzia anche di grandi interpretazioni. Risate più o meno smorzate, qualche lacrimuccia, e la solita, stupenda metafora sessuale del treno chiudono la partita.
Straniante la fotografia agée che da sola spalma una bella patina di senso e prospettiva in più sul metraggio totale: che le decorazioni pubblicitarie a base di falli giganti e le gaffe del giovane Snork non siano solo un espediente comico, ma il quid nostalgico di un'adolescenza da lasciare e tenersi nel cuore al tempo stesso? Of course...
Nota al merito parziale per le paraculissime track d'epoca (il film è ambientato nel 1973), ma Rain Song dei Ssseppelin a fine film rassicura ogni palato e offusca di commozione ogni retina.
Bei denti, co-protagonista! E perchè nelle locandine in primo piano ci sei tu? Che, mi state pigliando pu 'u culu?

The Wrestler è il grande film che non ti aspetti. O meglio, dopo due anni di megarecensioni, uno se l'aspetta anche.
È una poesia, e come tutte le grandi poesie toglie il fiato dall'angoscia. (E questo dovrebbe già risolvere la recensione). Alcuni artisti della narrazione hanno sottolineato come i finali in sospeso siano sostanzialmente delle ammissioni di vigliaccheria. Qui no (e difficilmente avrei scritto la frase precedente se non fosse così - oppure no?). Per propinarvi il mio pensiero cattocomunista, purtroppo mi è necessario spoilerare quasi tutto. Ergo regolatevi.
MickeyDistruzia
The Wrestler è un film quasi tutto di spalle, e quasi mai di primi piani. Se il nostro lottatore ha un'identità, ce l'ha nella lunga parentesi (in buona sostanza, il film) in cui è costretto a guardare in faccia i detriti della sua vita fuori dal ring. Quando non rimane più niente nemmeno di quello, quando ogni barlume d'amore e di vita reale gli viene sottratto per via di ciò che lui è, il lottatore capisce che l'unica strada per sopravvivere è sacrificare la sua umanità. Ogni scelta dell'Uomo porta a un vicolo cieco. Ogni vicolo cieco allo stesso baratro. O meglio: il vicolo cieco che imbocca lo conduce comunque alla distruzione, ma contemporaneamente lo consacra nell'alto dei cieli. Non più come uomo, appunto, ma come leggenda.
MickeyCornetta
Che questo film sia un concentrato d'arte, di genio o di quello che volete*, ma il lottatore percorre un arco opposto a quello codificato in narratologia:
-        L'eroe non si trova in una situazione iniziale di normalità minacciata; anzi, per quanto decadente, l'inizio è l'equilibrio ideale per l'eroe/leggenda, lo status quo che, per la leggenda, dovrebbe durare per sempre.
-        Le circostanze obbligano l'eroe ad affrontare con un mondo diverso dal suo, ma qui, costretto a non combattere per sopravvivere, la leggenda "si riduce a" uomo.
-        L'eroe non torna a casa diverso, maturato, portatore di saggezza e di un nuovo equilibrio; l'eroe torna a casa distrutto, disilluso, disumano. Nell'ultimo barlume di umanità, cerca la sua lei che era venuto a fermarlo. Ma lei non c'è più. L'eroe imbocca il suo vicolo cieco, e buona sera.
In buona sostanza, The Wrestler è un apogeo dell'anti-eroismo, e lo applica all'artista, all'eroe, alla leggenda: per loro crescere non vale, la loro esistenza è il sacrificio della vita per gli altri, la loro responsabilità è solo verso di loro. Mi viene in mente il sacrificio di ventun'anni di vita di Sun Su Kyi.
Aspettiamo con ansia di vedere Black Swan a marzo, nuovo film di questo geniacco di Darren Aronofsky, per vedere come si compie questo tema (The Wrestler e Black Swan sono, nelle intenzioni del regista, due facce della stessa medaglia).

* Nota Elitaria: E grazie a Dio non c'è niente di cristologico, non fosse altro perché ci viene tolta di mezzo la simbolizzazione del corpo morto, e ancor di più la resurrezione...

MickeyDelizia

Ma torniamo a fare i cazzari.
Raramente un attore ha raggiunto livelli di credibilità più alti di Rourke in questo film. E non per la menata della bravura, o per la menata della sua vita terribile – cioè sì, è anche così. Ma per i capelli ossigenati. Che tocco schifosamente meraviglioso. Non ci sono più i capelloni di una volta perché Mickey se li è mangiati tutti, e spero si mangi anche Nicholas Cage per riportare equilibrio nella Forza (dei Capelli).
Poi, Mickey dice una cosa su Cobain su cui il mio Io-hard rock sostanzialmente concorda, ma il mio Io-indie no – dovete sapere che fare il critico musicale mi ha costretto a sviluppare una forma embrionale di schizofrenia – che è: «Quei gruppi sì che erano forti, poi è arrivato quell'effeminato di Kurt Cobain dei Nirvana e ha rovinato tutto». Ebbene, è vero. Ma va bene anche come le cose sono andate. Certo, andrebbe meglio anche in un altro modo. Ma cambiamo argomento che mi sto confondendo da solo.
Ha un difetto questo film? Sì, i tatuaggi. Io odio i tatuaggi, specie sul corpo femminile (e qui ce n'è tanto e a buon mercato). Mi spiace, genere femminile, sei perfetto come sei, di inchiostro non ne aggiungerei. Poi oh, gestitevi voi, ma a me non piacciono. Uffa.
Insomma, questo The Wrestler è un capolavoro? È una strunzata? Non è un film leggerissimo, ma credo che con un po' di empatia e di compassione, anche il più accanito fan di Alvaro Vitali possa cogliere l'inesorabile poesia che regge questo gran pezzo di celluloide.
Alla prossima volta, compaňeros. Mi prendo una pausa dal cinematografo, però...

Morale: 
Crescere vuol dire avere il coraggio di non strappare le pagine della nostra vita, 
ma semplicemente strappare gli occhi per finta al nostro avversario.


Coming Soon:
Prospettiva Miyazaki

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